“Albert Camus ci invitava a pensare che Sisifo dovesse essere felice nel sollevare ogni giorno quello stesso masso che dopo rotolava a valle”.
“Così oggi si può immaginare che Meloni debba essere felice anche lei, alla prese con la fatica e i rischi dell’azione di governo che di qui a poco si troverà a caricarsi in spalla come un glorioso e oneroso fardello. Felice, ma anche consapevole. E forse -si spera- anche preoccupata”. Questa la metafora letteraria di Follini, in relazione al neonato governo Meloni.
Meloni ha infatti ricevuto dagli elettori un eloquente mandato a guidare il paese. Ma questo mandato sembra rivolgersi a due Meloni in luogo di una. Chiedendo alla prima di fare certe cose e di essere una certa persona. E alla seconda di farne altre, tutt’altre, finendo col diventare lei stessa, prima o poi, un’altra persona. Questo il pensiero di Follini.
Il pensiero di Follini
“Metà del paese immagina infatti di trovarsi alle prese con una sorta di Evita Melòn”, dice Follini, riferendosi ad una donna, e una leader, indomita, appassionata, estrema. Combattiva, immoderata e forse un po’ smisurata. “Un’icona della protesta che resta tale anche quando indossa panni di governo. Insomma, non proprio la madre dei ‘descamisados’ argentini ma quasi”.
L’altra metà della popolazione si fida delle virtù della governabilità, e quindi si aspetta che prima o poi Meloni “indossi l’abito della fatina di Draghi”. In questo caso la funzione dovrebbe porre una soluzione all’organo e alle pene di Palazzo Chigi che dovrebbero così indurre la futura premier a fare propri tutti quegli argomenti di cui la campagna elettorale sconsiglia di abusare. “La stabilità, la prudenza, il gradualismo, i conti in ordine, un certo riguardo verso l’opposizione, le buone maniere con Bruxelles e via elencando e aggiungendo”, conclude Follini.